domenica 8 giugno 2025

YT Canale “Mondocane Video” di Fulvio Grimaldi --- ---MANIFESTARE? ANCHE COL DIAVOLO!

 

YT Canale “Mondocane Video” di Fulvio Grimaldi

MANIFESTARE? ANCHE COL DIAVOLO!

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Chi è andato al mare con buone ragioni, chi è rimasto a casa col muso, chi non si è proprio pronunciato…

E chi ha partecipato.

Questo video si prova a trovare le ragioni degli uni, ma finisce con il sostenere quelle degli altri. Di coloro che alla manifestazione del 7 giugno per la Palestina a Roma, convocata dai panciafichisti, doppiogiochisti, mezzi di qua e mezzi di là, ignavi e complici, sono andati pienamente convinti che fosse giusto, utile, bello andarci, palco o non palco.

E si sono trovati, con altri trecentomila, rappresentanza effettiva di milioni di italiani, la più grande manifestazione per la Palestina d’Italia e forse del mondo. Convocata dal diavolo? Ebbene, abbiamo marciato per la Palestina su convocazione del diavolo. E prima avevamo marciato in 100.000 contro la guerra, convocati da un cripto-diavolo. Anche perché nessuno dei bravi e giusti è stato capace di convocarci e organizzarci.

Nel nostro piccolo, ma emblematico, abbiamo goduto dell’entusiasmo di tantissime persone, di tanti pollici su, di consensi a non finire, per il nostro cartello “IO STO CON LA RESISTENZA”, con tanto di volto dell’eroe-martire di Gaza, Yahya Sinwar.

E abbiamo potuto riconoscerci nel più grande striscione dei 300.000, con la parola proibita dai padroni del palco: GENOCIDIO, “Fermiamo il genocidio a Gaza”, visto e condiviso da migliaia, ma non da radio e televisioni.

Così è andata. Hanno infastidito Israele più quelli in marcia, o quello a casa? Hanno confortato i palestinesi più gli uni, o gli altri.  This is the question.

martedì 3 giugno 2025

GOLPE FATTO CAPO HA --- Youtube - Mondocane video di Fulvio Grimaldi

 

GOLPE FATTO CAPO HA

Youtube - Mondocane video di Fulvio Grimaldi

 

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La dimensione enorme-abnorme delle violazioni israeliane – governo e 80% del popolo – delle regole del convivere umano, senza precedenti nella Storia e rispetto alle quali i nazisti sono dei boyscout, fa da trampolino e copertura al degrado totale del diritto e della morale nell’Occidente politico.

La perversa normalizzazione dell’inconcepibile che trasuda dai media induce nelle masse la percezione  della normalità di guerra, violenza del forte sul debole, criminalità civile e militare, sterminio di innocenti, infanticidi programmati, genocidio via fame, tutta un’ ininterrotta massa di crimini orrendi che hanno trasformato governi e istituzioni, a partire da quelli USA, Sion e ucraini, in concentrati di delinquenza, immuni da ogni responsabilità e punizione.

E’ questo lo Zeigeist, lo spirito del tempo, meticolosamente creato dalle mafie istituzionali di Israele, Usa e UE e che a livello geopolitico si traduce nella preparazione di una guerra alla Russia (vero, o finta per consolidare gli armaioli, forza decidente), ossessivamente giustificata dalla minaccia dell’apocalisse (entro il 2007 dice Ursula, entro il 2009 dice Starmer) che Putin starebbe per scatenare sull’Europa. 

Minaccia di cui non c’è ombra nelle intenzione del primo come dell’ultimo dei russi, che da un secolo sanno di difesa e mai di offesa (neanche in Ucraina dove l’operazione speciale è di difesa di se stessi dalla NATO in arrivo e dei propri fratelli nel Donbass).

Zeitgeist che ha agevolato il venire gradualmente allo scoperto del verminaio italiano: il sopito e mai rassegnato retroterra fascista nella forma ora transitata dal terrorismo stragista alla gestione reazionaria e repressiva del paese. Ora siamo al regime, quello che, nel quadro dell’Ur-fascismo, va definito il tecnofascismo del terzo millennio.

Parliamo in questo video del DECRETO SICUREZZA, operazione appunto di regime, che chiude il cerchio , anzi il collare, intorno alla libera disponibiltà delle nostre vite.

Sto esagerando? Provate a farvi 4, o 6, o 8 anni in carcere, nelle NOSTRE carceri, per aver fatto un picchetto contro un licenziamento ingiusto, occupato una casa anche vuota, ostacolato la costruzione del Ponte, o di altro abominio speculativo e distruttivo, fatto resistenza passiva ai cazzotti del secondino, messo il proprio corpo di traverso a un abuso, eccetera eccetera.

A sistemarvi non saranno solo lo sbirro, o la legge, ma anche le barbe finte dei notori Servizi Segreti che, esercitatisi sottobanco da decenni a forza di attentati e stragi, ora possono ufficialmente guidare organizzazioni mafiose e terroristiche.

Vi basta? Non è niente, aspettate che quest’estate ci piombi addosso il Premierato. A Palazzo Chigi si starà come a Palazzo Venezia. E noi “come sugli alberi le foglie d’autunno”.

Il video passa in rassegna un alternarsi, in Occidente, di riscatti e tirannie che, in media, si succedono di quarto di secolo in quarto di secolo. Rivoluzione Francese 1889-Restaurazione 1915, Primavera dei Popoli anni ’30-’60 dell’’800 poi esplosione di idee liberali e socialiste – Restaurazione Borghese e Congresso di spartizione del mondo a Berlino 1884, che funziona fino al crollo degli imperi con la Guerra mondiale – Nazifascismi e 25 anni dopo liberazione anticoloniale, democrazia, comunismo qua e là , ’68-‘77 – reazione imperialista e neocolonialista a partire con forza dal volgere del secolo (11 settembre).

Col Decreto Sicurezza del manipolo Meloni, in attesa del Premierato e con il concorso ambientale di Ursula, Trump, Merz, Starmer e Macron, ci siamo: è Fascismo. E ciò che ne consegue inesorabilmente: guerra. Agli altri e a noi. Missili, manganelli e intelligenza artificiale. Non ci credete? Io sarò un cronista di strada, ma leggetevi Canfora “Il fascismo non è mai morto”, o Eco “Fascismo eterno”.

L’Antidiplomatico – Fulvio Grimaldi DALL’ERITREA AL SENEGAL, IL RISCATTO INIZIA DAL SAHEL

 

L’Antidiplomatico – Fulvio Grimaldi

DALL’ERITREA  AL SENEGAL, IL RISCATTO INIZIA DAL SAHEL

 

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Di fronte all’abisso morale, politico, sociale, militare e legale nel quale ci stano trascinando i sempre più abietti e irresponsabili gruppi dirigenti dell’Occidente politico, agevolati dalla passività popolare, si erge il modello salvifico dei popoli dell’Africa.

Una fascia che, comprendendo anche Senegal ed Eritrea, madre di tutte le rivoluzioni vincenti africane, raggiunge i 4.000 km2 e 112 milioni di abitanti e contiene alcune tra le maggiori ricchezze minerarie del mondo, a partire da uranio, oro, ferro e idrocarburi,

Ispirati dall’esempio della Libia di Gheddafi, dell’Eritrea di Isaias Afeworki, trionfante sul colonialismo in una guerra di liberazione di trent’anni, dal ricordo di eroi caduti come Lumumba e Thomas Sankara, tre rivoluzioni popolari guidata dai giovani quadri intermedi degli eserciti nazionali, Niger, Mali, Burkina Faso, hanno sostituito al potere i fantocci installati dai francesi. Francesi che, con le forze militari e con il concorso NATO (anche italiano), si erano mantenuti fino a ieri padroni coloniali e poi neocoloniali di questi paesi e delle loro risorse.

Percorriamo, sullo sfondo della rivoluzione eritrea che ho accompagnato dall’inizio alla fine, le vicende che hanno portato al riscatto di questa parte del continente più insanguinato e saccheggiato del pianeta e che ora ne caratterizzano il processo evolutivo. Sul quale incombono tuttora i revanscismi occidentali con il solito strumento del terrorismo islamico.

martedì 27 maggio 2025

Fulvio Grimaldi per L’Antidiplomatico --- Eurocentrismo de sinistra GAZA (NON SOLO): QUELLI DEL SI, MA

 

Fulvio Grimaldi per L’Antidiplomatico

Eurocentrismo de sinistra

GAZA (NON SOLO): QUELLI DEL SI, MA

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Alla nutrita Assemblea Nazionale convocata sabato scorso al cinema Aquila di Roma dalla Rete dei Comunisti, si è discusso di Medioriente.

Incidentalmente e fuori dal contesto di questo articolo, mi permetto una considerazione. Nel dibattito ha avuto un ruolo anche l’evento nazionale contro guerra e Nato e per la Palestina previsto per il 21 giugno, con il nodo della presenza, nell’occasione, di due manifestazioni su piattaforme in parte divergenti. Si vedrà se si addiverrà a un’intesa. Alla discussione aggiungerei il dato che risultano riuscite e imponenti, per positiva risonanza pubblica, le manifestazioni romane per la Palestina che hanno visto in un unico corteo due componenti fortemente divise tra loro. Soluzione che potrebbe proporsi anche per il 21 giugno.

Nel corso delle quattro ore di assemblea e di una trentina di interventi, si è incessantemente parlato, in toni vuoi indignati, vuoi accorati e dolenti, fin nei più raccapriccianti dettagli, della tragedia di Gaza. Giustamente qualcuno ha rilevato l’esitazione, se non l’assoluto rifiuto, nella sfera politico-mediatica, a pronunciare la parola genocidio. A fronte della fondata osservazione, va tuttavia rilevato che un’analoga esitazione, se non un rifiuto, si sono verificati rispetto al termine “Resistenza”, praticamente scomparso. Siamo stati solo in due, un palestinese e io, a utilizzarlo. DI Hamas, poi, neanche a parlarne.

Si sarà trattato di accidente casuale, non causale per carità, ma tant’è. E fa riflettere. Su un fenomeno che è di vasta scala e di vasta portata.

Dico subito che, per alcuni, dietro al ritegno di evidenziare il ruolo di Hamas, che pure è la rappresentanza politica e militare della maggioranza dei palestinesi dalle elezioni del 2014, confermata dai sondaggi attuali, c’è l’idea che senza Hamas Gaza avrebbe la pace. Idea alimentata dalla propaganda sionista che proclama la sua guerra essere solo mirata all’eliminazione di Hamas.

La terra bruciata che Israele sta compiendo in larghe parti della Cisgiordania, che dichiara di voler annettere e dove non pare esserci una forte presenza di Hamas, da sola smentisce l’assunto. Basterebbe ricordare due anni di ininterrotte ed omogenee dichiarazioni del governo Netaniahu (fatte proprie dall’80% degli israeliani). La pratica genocidaria applicata a Gaza, con particolare predilezione per bambini e donne, ospedali, scuole, moschee, depositi e manifatture di viveri, acquedotti e luoghi di rifugio, concretizza le ripetute affermazioni di Netaniahu, dei suoi ministri e di Trump. Anche se Hamas sparisse e gli ostaggi fossero liberati, la procedura verrebbe portata a termine: soluzione finale. Che è quella di rimuovere dalla Striscia, morti o vivi e per sempre, tutti i palestinesi, inibendo ogni possibilità di ritorno.

Quindi, di cosa stiamo parlando?

Di passaggio, va rilevato che alle parole di cui si preferisce evitare l’uso, anche da parte di esponenti del “popolo nostro”, con evidenti ricadute sul popolo tutto, corrispondono parole di cui, invece, si pratica l’uso, per alcuni convinto, per altri stereotipato e a pappagallo. Ne emergono due impieghi. Una in riferimento alla guerra mediorientale, “Diritto alla difesa”, in relazione a quanto farebbe Israele quando mena colpi all’impazzata, o li promette, ai paesi vicini. Meme poi diventato il mantra per le attività belliche, o di preparazione bellica, dell’Unione Europea governata, per conto degli armieri UE e USA, da Ursula von der Leyen

L’altra è altrettanto pervasiva, autorevole ed autoritaria e guai a contestarla: “Invasione”, o il suo equipollente più irsuto, “aggressione”. Del martellante ripetere il “diritto di Israele di difendersi”, a copertura della più sanguinaria e orripilante distruzione di un intero popolo, condotta in piena vista del mondo, cosa mai vista, abbiamo detto e siamo consapevoli tutti, compresi gli ipocriti che della frase fanno uso.

“Invasione” e “aggressione” è l’unico modo in cui il volgo e l’inclita devono percepire e giudicare gli eventi di Ucraina. Come risulta esplicito dall’informazione generalista che riceviamo ogni giorno, dal febbraio 2022, entrata delle truppe russe, e che è cardine di ogni pronunciamento dei nostri politici.

Ricordo il mio breve, e, come si usa da Floris, “controllato”, scambio con Pierluigi Bersani, già comunista e autorevole segretario del PD. Il metaforico veterano di una sinistra che fu, aveva concluso la sua perorazione sul diritto di Zelensky a difendersi dall’aggressione russa del 22 febbraio 2022. Io avevo poi provato di opporre alcuni dati di causa ed effetto rispetto a quell’ “aggressione”.

Tipo il sanguinoso colpo di Stato fatto fare a Maidan da Obama e Hillary Clinton a reparti politici e militari nazisti, con il risultato della cacciata di Victor Yanukovich, premier e poi presidente, democraticamente eletto, dal 2004 al 2014 e che coltivava pari aperture a est come a ovest. Tipo otto anni di bombardamenti e massacri di ucraini russofoni nel Donbass e la strage dei bruciati vivi dai nazisti a Odessa.

Quale fu la reazione dell’illustre politico, prima del successivo cambio di indirizzo e tema del conduttore? Una scrollata di spalle, un inarcamento delle sopracciglia e la sentenza perentoria e conclusiva, condita da un sorriso di sufficienza: “Ma questa è Storia”.

Il che è del tutto sufficiente per dare alle parole in questione, e al loro utilizzo nella contingenza del presente, tutto il loro “valore”. A questo proposito permettetemi di tradurvi questi brevi versi di Evgenij Aleksandrovič Evtušenko

“Credi tu che i russi vogliano la guerra? / Interroga il silenzio che lì tace nel vasto campo / nel boschetto dei pioppi. / Chiedilo alle betulle lungo il rivo / Là dove giace, nella sua tomba / quel soldato russo, a lui devi chiederlo! / Ti darà la risposta suo figlio: / pensi tu, che i russi vogliano la guerra?”

Nell’assemblea nazionale di cui sopra, Franco Russo, mio compagno e autorevole contemporaneo negli anni ’68-’77 (definiti di “piombo”, da intendersi, però, come piombo finito nei corpi di una generazione che non ci stava), ha espresso una ricorrente preoccupazione. Ha rilevato, con mestizia e apprensione, come l’opposizione agli eventi funesti del capitalismo colonial-imperialista in Medioriente, continuasse a mancare una base sociale all’altezza del giusto e doveroso.

Mi sono chiesto se ciò non fosse dovuto a quella malattia della Sinistra di massa, apparentemente quasi congenita per quanto diffusa e ostinata, che non si può chiamare altro che eurocentrismo e che rasenta a volte il pur vigorosamente deprecato suprematismo. Vi sono firme e pubblicazioni per le quali la definizione di “sinistra” riveste entrambi i significati della parola. Sono quelle che giubilano per la Palma d’oro di Cannes all’iraniano Jafar Panahi, o per la vittoria israeliana in un qualche concorso canoro, o che descrivono con giambi e ditirambi l’evento in cui, a Bracciano, si è manifestata la Premio Nobel iraniana Shirin Ebadi. Tanto per fare due esempi rappresentativi ed emblematici. Ma vale per i dissidenti rispetto a molte realtà invise al potere nel mondo in cui ci troviamo.

Conosco quelle posizioni - c’ero alla conferenza della Ebadi, ho visto i film dei registi iraniani, ho udito le canzoni - e come esse siano congeniali a una presentazione della realtà che vorrebbe reclutare le opinioni pubbliche alla visione delle cose – e conseguenti operazioni politico-militari – di un Occidente, di un’Europa, perfino di un’America a Stelle e Strisce, pur sempre di tradizioni e sostanza liberaldemocratiche. Con di fronte oscurantismi religiosi repressivi e regimi di dittatori, rispettivamente da illuminare, con le buone o le cattive, o da abbattere. Visto che minacciano l’umanità con armi di distruzione di massa, seppelliscono in fosse comuni i loro avversari (Gheddafi), o li torturano e uccidono nelle carceri (Assad). Strumenti democratici per affronarli: rivoluzioni colorate, sanzioni e guerre.

Ho percorso le strade e praticato gli incontri, tra Cuba e Venezuela, Nordirlanda e Serbia, Vietnam e sfera afro--mediorientale, che mi hanno riscattato dal rischio di un’ideologia aprioristicamente contro, perché superiore e nostra, facendomi testimone di una realtà delle cose opposta a quanto si vuole si sappia in Occidente e avvallata dai pregiatissimi dissidenti.

Qui non è il caso di dilungarsi in pur indispensabili approfondimenti socio-culturali di civiltà e tradizioni che, date le premesse storiche diverse, si sono permessi di seguire itinerari ed obiettivi non in linea con quanto a noi, da Montesquieu a Tocqueville e Schmidt, viene pro-im-posto, come modo di stare insieme e governarci.

Qui è il fortissimo caso di porre a base della decostruzione di un nostro placido allineamento con l’industria occidentale delle mistificazioni pro domo sua, da 2000 anni la più potente del mondo. Qui si impone, prima di profferire giudizi, la messa in questione, corredata da evidenze, di alcune chiavi di volta che reggono l’edificio della menzogna strategica.

Da inviato in Serbia del quotidiano Liberazione, durante la guerra NATO di D’Alema e Mattarella, mi si rimproverò di aver usato, in un’intervista fattami dal quotidiano del Partito Socialista, il meme: “Serbi, non servi”, con riferimento a Roma e alla Nato. Al mio ritorno trovai che parecchi dei miei servizi da Belgrado erano stati cestinati, perché “troppo filoserbi”. L’intervista che mi diede, prima di essere arrestato e mandato a morire all’Aja, Slobodan Milosevic, definito dittatore a casa nostra ed effettivamente presidente democratico di un paese con ricche e zannute opposizioni politico-mediatiche, fu respinta dal giornale perché “non possiamo appiattirci su Milosevic” (ma pubblicato poi dal Corriere della Sera!).

Analogamente, i miei reportage quando ero uno dei pochi e preziosi corrispondenti da Baghdad durante l’aggressione del 2003, furono relegati dallo stesso quotidiano nientemeno che nella posta dei lettori. Non doveva figurare come giornalista contrattato uno che metteva troppo in rilievo la bestialità dei bombardamenti Nato su una Bagdad prospera e civile, o il carattere, deontologicamente pervertito, di “embedded” degli inviati al seguito delle truppe USA.

Oggi, su una Serbia non ancora del tutto normalizzata e sui serbi riottosi di  quella aberrante creazione Nato che è la Bosnia-Erzegovina, federata a regime UE improntato all’apartheid, resta perciò attiva una criminalizzazione collettiva, radicata in terreni totalmente inquinati da False Flag e menzogne, ma ancora formicolante nelle sinistre ambosensi di cui sopra.

Si parte dalla strage di “civili inermi” a Racak, in Kosovo, proiettata nel mondo dagli organi della KFOR (Nato) per giustificare il successivo attacco alla Serbia. Poi inutilmente identificata da anato-patologi finlandesi dell’ONU come risultato di uno scontro tra soldati serbi e terroristi UCK travestiti da civili e sparati alla nuca e torturati quando cadaveri. E per segnare gli eventi futuri, si torna e ritorna a Srebrenica. Grande e pesante operazione, codesta, con cui tenere sotto scacco i serbi, in ispecie quelli della Repubblica Srpska nella surreale federazione croato-serbo-bosniaca, riottosi alle prevaricazioni croato-musulmane.

Su Srebrenica, durante la guerra civile, innescata dalla strategia USA-UE di frantumazione della Jugoslavia socialista, ci si ripete con enfasi da allora che 8.000 civili sarebbero stati uccisi a freddo da un plotone comandato dai serbi Mladic e Karadzic. Due imputati, di conseguenza, del solito processo-canguro dell’Aja. Numerose e approfondite inchieste hanno accertato che non di esecuzione di civili si sarebbe trattato, ma di scontro armato tra forze serbe e forze bosniache, con un numero di vittime infinitesimale rispetto a quello conclamato. Particolare grottesco: numerosi nominativi delle vantate vittime sono poi ricomparsi nelle liste elettorali bosniache. Eppure ancora oggi si fa ogni anno un gran celebrare internazionale della “giornata di Srebrenica”. Dunque, dagli ai serbi è sempre consentito.

Oggi lo stesso meccanismo è applicato all’operazione di Hamas il 7 ottobre 2023. A dispetto che decine di ricerche e inchieste, anche israeliane, hanno accertato che la maggioranza delle vittime è stata determinata dall’intervento caotico e impreparato (i centri di comando dell’IDF erano stati neutralizzati da Hamas) delle truppe israeliane prese di sorpresa. Che l’operazione di Hamas prevedeva la cattura di ostaggi, da cui ottenere la liberazione di prigionieri palestinesi, e non l’uccisione di massa dei coloni. Che la riduzione in macerie degli edifici degli insediamenti non poteva che essere determinata da bombe e missili dei tank ed elicotteri israeliani, dato che Hamas non disponeva che di armi leggere. E, infine, comandanti israeliani hanno ufficialmente ammesso che era stata adottata la Direttiva Hannibal, quella che impone di uccidere anche gli ostaggi insieme a chi li porta via.

Resta a tuttoggi, nella pubblicistica e nelle convinzioni della Sinistra perbene, l’inevitabile e ricorrente riferimento alle “atrocità” di Hamas, alle decapitazioni di neonati e agli stupri di massa, alle 1.200 vittime civili (in effetti poco più di 600 e in gran parte militari da fuoco incrociato e civili da fuoco amico).

E, come l’ineluttabilità di Srebrenica, o dell’11 settembre, madre di tutte le False Flag, non mancano mai alcuni punti fermi. L’associazione della Resistenza palestinese alla parola “terrorismo”, anziché la sua ovvia applicazione allo Stato sionista, oppure l’epiteto di “Zar” per Putin. Sono particolari di una propaganda che ci pervade peggio di un sedicente virus Covid, o di un presunto cambio climatico da noi e dai nostri nonni provocato. E che si insinua tra i gangli delle coscienze sinistre e li si sedimenta e prospera. E produce il plauso, per esempio, a Premi Nobel e Palme d’Oro.

Come anche la timidezza rispetto alla parola “Resistenza” e l’assenza del nome Hamas in un’assemblea tracimante di solidarietà umana per Gaza.

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